Il maremoto del 1343 raccontato dal Petrarca
12 gennaio 2024
Era il 25 novembre 1343, quando il poeta Petrarca, in missione diplomatica nel Regno di Napoli
inviato da Clemente V come ambasciatore, fu testimone del disastro che si abbatté sulla città
partenopea. L’episodio è caduto oggi nel calderone delle cose dimenticate, eppure all’epoca fu
riconosciuto come una sciagura di proporzioni colossali.
Il celebre poeta rimase così fortemente segnato dalla sgraziata ferocia di quella catastrofe da
sentire la necessità di parlarne nel V libro della sua opera Epistolae Familiares: uno scritto di
grande dignità che ha restituito a Napoli il ricordo di quella triste vicenda.
Quella dello scrittore trecentesco è la più vivida e preziosa testimonianza che abbiamo oggi
dell’accaduto.
Epistolaefamiliares
Nella sua opera Epistolaefamiliares, Petrarca racconta della nefasta esperienza vissuta a Napoli
e dello tsunami che con furia si scagliò contro la città. La cosa più curiosa riguardante il racconto
fu una componente quasi mistica attribuita all’accaduto: il poeta raccontò di un tale – un
religioso dell’isola di Ischia – che nei giorni precedenti alla catastrofe allertò ogni abitante delle
zone limitrofe dell’arrivo di una grandissima sciagura. Petrarca appare dai suoi scritti molto
segnato dalla profezia, che si rivelò, appenapochi giorni dopo, veritiera.
Lo scrittore era in città per risolvere delle trattative,a nome di Papa Clemente V,riguardanti la
detenzione di alcuni prigionieri. Appena approdato sulla città portuale, egli notò l’insolita coltre scura che anneriva il cielo.
Il Mezzogiorno era sempre stato noto per il suo cielo terso, per questo l’autore osservò che non gli stava riservando la lieta accoglienza
di sempre.
La testimonianza di Petrarca
Durante la mattina del 25 novembre del 1345, un’onda anomala si scagliò sulla città. Il poeta si
rifugiò subito nelle stanze dei frati della chiesa di San Lorenzo. Nei suoi versi gli uomini religiosi
vengono descritti in preghiera, spauriti e afflitti dalla catastrofe dai contorni apocalittici. Sempre
dai racconti di Petrarca, apprendiamo dei vetri alle finestre tremare, delle urla di disperazione
udite in strada e delle acque del Golfo che tornavano a risucchiare i pescatori negli abissi.
Quando tutto fu finito l’uomo giurò di non mettere mai più piede in una città sul mare.